geografia emozionale
GEOGRAFIA EMOZIONALE
E' simile a qualcosa che riaffiora, qualcosa che si è fatto ma che per qualche motivo si è dimenticato: è la necessità di raccontare i paesaggi naturali, ma anche i luoghi urbani, come atmosfere dell'animo. Questo bisogno riscoperto si chiama geografia emozionale, è uno dei movimenti estetici che in questi anni ha saputo cogliere a New York come a Tokyo, a Berlino come a Londra, i sintomi di un risvegliato bisogno di uno stare in uno spazio e raccontarlo partendo dalle emozioni che sa trasmettere. Nell'era dell'essere dappertutto, ma in realtà sentirsi spaesati, le esperienze sensoriali, il tatto, l'olfatto, il gusto, il riverbero interiore sono le àncore che aiutano a percepire lo spazio che si abita. I viaggi, dall'altro capo del mondo come oltre le strisce pedonali sotto casa, valgono per le sensazioni che trasmettono.
Per raccontare questa filosofia, in Italia c'è una rivista. Un trimestrale nato a Milano ma con firme internazionali. Si chiama Aria.
Laura Broggi -"Aria"- : "In un'epoca di sovraccarico visivo, proprio le immagini sembrano non bastare. La città, il paese, tornano a essere uno spazio da percorrere. Si desidera riscoprire un luogo per l'emozione che trasmette piuttosto che per il tempo, inutilmente accelerato, che costringe a scandire. Lo si desidera ascoltare anziché guardarlo come semplice catalogo di superfici esteriori: palazzi, oggetti, abiti o atteggiamenti che dir si voglia. Geografia emozionale vuol dire guardare a cose e persone e ascoltare ciò che riaffiora alla mente magari anche in relazione alle cose più improbabili. Pensare a persone mentre si guarda un pianoforte, una vetrina, un'opera d'arte, una strada".
Una geografia emozionale da non confondere però con la semplice emotività superficiale, con la reazione immediata e autocompiaciuta. E' piuttosto la pratica di esperienze che aiutano a tracciare itinerari personali, rotte intime.
E' un po' quel "partire da sé" che contiene sia l'idea del cominciare da sé ma anche dell'allontanarsi da sé, proprio per poter viaggiare e scoprire una propria geografia.
Laura Broggi: "Fotografia, cinema, arte, design...La geografia emozionale si declina nelle varie pratiche artistiche: fotografie che dicono di trasparenze e specchi, di immagini che non sono solo quello che fanno vedere; racconti che descrivono soprattutto luoghi momentanei, interni ordinari; architetture sul filo dell'abbandono. Niente a che fare con le idee di celebrazione ed esaltazione".
Giuliana Bruno, la teorica che ha dato il via a questa tendenza, vive negli Stati Uniti, è docente ad Harvard. Per lei si è all'inizio di una nuova era dopo il postmoderno. Dal manifestarsi fuori dalle cose di anni fa al desiderio di capire cosa sia l'insieme dei luoghi che si abita. E' quell'e-muovere che vuol dire proprio uscire da sé, magari senza coordinate e guardare con occhi nuovi il consueto.
Laura Broggi: "Che sia una tendenza lo si riscontra anche su giornali e libri. Si legge di richieste per un design semplice ma dal forte impatto emotivo. Di città ripensate partendo dalle piccole emozioni. Per ascoltare il passare delle stagioni, per lasciar posto anche al buio, per percepire odori e spazi. Si apprende che la scienza ha scoperto il neurone specchio: e cioè il segreto delle emozioni. Si narra di profili per nuove professioni, come l'Organizzatore dell'Emotività Ambientale. Si organizzano cene e feste al buio, ma anche silenziose, per risvegliare percezioni addormentate. I musei allestiscono percorsi olfattivi e tattili. Il marketing innalza colonne di stimoli percettivi attorno a ogni prodotto. Perfino l'ultimo festival della filosofia è stato dedicato alla sensorialità, alla corporeità. Insomma la voglia di sentire il mondo si fa strada in una società tutta rivolta a ciò che si vede".
Dalla pubblicità al design, al life style passando per architettura e narrativa, moda, cinema e arte molto sembra riverberare della luce dell'emozionale. Una tendenza che ritrova in un certo cinema, in una certa narrativa, i propri codici estetici. Un filone che passa da Wenders a Sofia Coppola, Wong Kar Wai e Paolo Sorrentino. Da Kuitca e Wilson a Hillman, Woodmann e Chiaramonte. E' l'elogio dell'ombra alla Biennale di Forster.
Una cosa è certa, la geografia emozionale non è bulimica di novità quanto piuttosto curiosa di un sentire diverso e per dirla come Voltaire "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi".
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